soglia di attenzione

venerdì 22 febbraio 2008

volontà | umore

"La volontà è più imperscrutabile del destino e uno la esercita in momenti così bruschi e buffi da rassegnarsi a quella manifestazione di sé come a dei capricci."
Erri De Luca, Non ora, non qui (1989)

"Come al solito non fu la ragione ma il mio umore a prendere la decisione."
Paul K. Feyerabend, Ammazzando il tempo. Un'autobiografia (1994)

lunedì 18 febbraio 2008

s|a è anticlericale

s|a è anticlericale. Non può non esserlo. In Italia, in questo momento, non si può non essere anticlericali. L’analisi serena della situazione permette una pacata conclusione: hanno rotto i coglioni! L’offensiva clericale ha alzato il tiro dopo il falso caso del Papa alla Sapienza: nessuno gli ha impedito di parlare, come hanno scritto o detto fin da subito i vomitevoli media italiani, è stato lui stesso a ritirarsi dall’invito – continua su questo blog la Campagna Renato Guarini dimettiti! (*) – perché non l’avrebbe accolto un’unanimità genuflessa.

Ora tale offensiva ha raggiunto toni senza precedenti, a meno che non si voglia risalire agli anni 50, quando la Democrazia Cristiana spadroneggiava indisturbata. Don Anselmi, responsabile della Conferenza Episcopale Italiana per la pastorale giovanile, critica la scena di sesso tra Isabella Ferrari e Nanni Moretti in Caos calmo e, fra le altre cose, dice: "Molte persone osservano che i consacrati non possono e non devono parlare di sessualità corporea perchè non la vivono. Mi sento di poter dire che noi la conosciamo e la stimiamo così bella e importante che ogni giorno la offriamo sull'altare, doniamo a Dio ed alla nostra comunità il nostro celibato, con fatica e con gioia". Grazie tante, nessuno ti ha chiesto niente. Ma una domanda sorge spontanea: che cazzo vuol dire? Maestri del nonsenso, come sempre, travestito da beateria buonista. (raccomando la lettura del post di Universi paralleli)

La lista è lunga: dal boicottaggio silenzioso della “pillola del giorno dopo” alla rianimazione obbligatoria dei feti, dalla “revisione” – così la chiamano – della legge 194 sull'aborto al recente gravissimo episodio del blitz in ospedale, dove le forze del disordine hanno interrogato una donna ancora sotto gli effetti dell’anestesia. Insomma, è in corso una nuova caccia alle streghe. Giuliano Ferrara associa in maniera ignobile la recente moratoria all’ONU sulla pena di morte a una moratoria sull’aborto. La donna che sceglie di abortire è un’assassina o un boia. La presenza in vita di Ferrara è di per sé un argomento a favore dell’aborto terapeutico.

In gioco c’è di nuovo e come sempre la gestione da parte dell’uomo del corpo della donna e della sua libertà di scelta. Di nuovo e come sempre la Chiesa - le sue gerarchie e gli zelanti politici italiani di destra, centro e sinistra (molti anche da quest'ultima parte, a dimostrazione che destra e sinistra non vogliono dire più niente) - una comitiva di maschi che ha scelto il celibato e la castità, parla e vuole decidere di ciò che non conosce e di cui non dovrebbe occuparsi. Ma, come sempre, il controllo delle anime passa per quello dei corpi. Mi correggo: delle anime a questa gente non frega niente, è solo dei corpi che si occupano. Pura pornografia.

(*) A parte per la vicenda Ratzinger, Renato Guarini dovrebbe dimettersi da rettore della Sapienza anche per altri motivi, visto che è un altro di quelli che hanno facilitato, mettiamola così, l'accesso di figli, generi, mogli o nipoti alle cattedre universitarie.

giovedì 7 febbraio 2008

TRM2 (leyendo TRM3)

Mientras estoy enfrascado en la lectura de Veneno y sombra y adiós, la tercera parte de Tu rostro mañana de Javier Marías, rescato del olvido la breve reseña de la segunda, Baile y sueño, que escribió s|b más o menos verbatim para la revista Archipiélago hace algún tiempo.


VERBA MANENT

No siempre si en la primera página de la narración aparece un clavo en la pared, antes o después alguien se va a colgar en él. Menos aún si el narrador pertenece a una novela de Javier Marías, que ha definido a menudo su escritura como errática y contradictoria, por obedecer a un pensamiento literario sin proyecto predeterminado. Si a eso le añadimos la proverbial obsesión, llevada al extremo, por no cerrar sus historias, el resultado es Baile y sueño, segunda magnífica entrega de la – de momento – trilogía Tu rostro mañana. Quizás sea esa obsesión, se nos dice en la novela, “una estela de Las mil y una noches, su heredada idea entre los hombres de que nunca hay que perder la palabra ni que terminar el cuento” (p. 210), so pena de la vida. Y no es sólo que el relato no termine al final de Fiebre y lanza y, ahora, de Baile y sueño, sino que, dentro de las mismas obras, se siguen abriendo sin cerrar larguísimas digresiones que son como espadas del vizcaíno eternamente suspendidas en el aire a la espera de un narrador que las haga bajar.

Si una narración puede salvar, también puede condenar, incluso por escucharla involuntariamente: es uno de los grandes temas de Baile y sueño, nuestra total indefensión ante las palabras. Marías prosigue su anatomía, empezada en Fiebre y lanza, del poder y consecuencias de la palabra y de la escucha, ahora fijándose más en el segundo polo de la comunicación: “No sé qué es peor, si escuchar el relato o presenciar el hecho. Quizá lo segundo resulta más insoportable y espanta más en el instante, pero también es más fácil borrarlo, o enturbiarlo y engañarse luego al respecto, convencerse de que no se vio lo que sí llegó a verse” (p. 299). Frente al poder de la palabra de crear y destruir mundos (y personas), en efecto, “no debería uno contar nunca nada” (incipit de Fiebre y lanza) e incluso no debería uno oír nunca nada (FL, p. 15). La actitud reticente de Jacobo es comprensible, pero impracticable de hecho, porque habitamos el lenguaje y no podemos dejar de convertirnos en continuos emisores y receptores de relatos. Héroe pasivo donde los haya, sin embargo su pasividad puede acercarse a la contemplación (en el sentido antiguo, la theoría griega, la forma más alta de acción) cuando permite la desocultación, el desvelamiento de una realidad opaca. Entre las realidades opacas por definición, con las que el narrador se enfrenta, una es la siempre inestable conducta humana – sus leyes, de difícil previsión. Otra, es el pasado, y su desocultación es un rescate del olvido (a-letheia en sentido literal) a través del relato, por una nueva incorporación en el círculo de transmisión oral de la experiencia entre los hombres. No olvidemos que el siglo pasado se abría con el fracaso de ese círculo. Así lo atestiguaban Rilke, en su Malte, con unas palabras que suenan mucho a Marías: “Eso de contar historias, de contarlas de verdad, tiene que haber sido de épocas que yo no recuerdo. Yo nunca oí a nadie contar nada”, y, pocos años más tarde, Walter Benjamin en sus consideraciones sobre los soldados que volvían enmudecidos de la Primera Guerra Mundial. La violencia desatada del hombre puede enmudecer y, como en el caso de Deza en la escena de la espada, paralizar al testigo. Contar se vuelve al mismo tiempo fármaco y veneno. Ésa es la sensación que nos asalta al leer los relatos que el padre de Jacobo escuchó durante y después de la Guerra Civil – y que el hijo escucha, que nosotros escuchamos... – sobre la muerte despiadada de un niño, o el asesinato de Emilio Marés.

Afortunadamente, en esa larga velada en discoteca durante la que discurre la casi totalidad de la acción, la tragedia posible cede a menudo el lugar a la comedia, a la parodia y a la caricatura – así en la inolvidable escena de los lavabos, o en la segunda, y más probable, supuesta declaración del agregado cultural De La Garza ante el Juicio Final –, aunque siempre de forma ambigua. Nunca se sabe si la amenaza mortal va en serio o es una puesta en escena.

s|b · Archipiélago 68/2005, pp. 139-40.

mercoledì 6 febbraio 2008

S. Vassalli, Archeologia del presente

Torino, Einaudi, 2001, pp. 173.

O anche: archeologia della deriva. Di un paese, il nostro, fino all'incagliamento del presente (o nel presente, nella secca di questo presente). È un romanzo ma si legge anche come documento: il narratore inanella episodi su episodi della storia italiana dall'inizio dei '70 a quello del nuovo millennio. Dalle prime crepe nel progetto della modernità - ma l'Italia l'ha mai avuto? - al suo crollo rumoroso sotto le spinte del medioevo che ritorna: Dio, patria e famiglia; o anche, religione, etnia, piccole patrie inventate. Non è che io rimpianga quel progetto, la cui Storia, come ricorda Benjamin, ammucchia una montagna di cadaveri tale da raggiungere il suo angelo in fuga. Ma il vuoto lasciato, purtroppo, si è riempito di spazzatura.

Questo è lo sfondo di Archeologia del presente, la grande narrazione che contiene quella piccola, le vite di
Leo e Michela che volevano cambiare il mondo e che invece subiscono un terribile contrappasso. Potrebbe fare il paio con La meglio gioventù se non fosse decisamente più amaro, come amara è l'ironia che accompagna il ricordo di chi narra. L'ironia come fragile diga contro il debordare dell'emozione? Forse. C'è chi, invece, ha definito l'ironia come l'ornato dell'impotenza.

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